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meditatore

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I RIFUGIATI POTRANNO ACQUISIRE IL DIRITTO DI
RESIDENZA A LUNGO TERMINE.

Nelle seduta del 14 dicembre scorso, il Parlamento europeo ha approvato la proposta di
direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2003/109/CE
per estenderne il campo di applicazione ai beneficiari di protezione internazionale.(*)
Cosa prevede, in buona sostanza, questo provvedimento?
Consente ai cittadini rifugiati e agli altri beneficiari di protezione internazionale di
acquisire diritti di residenza a lungo termine equiparandoli agli altri cittadini immigrati
lungo soggiornanti.
Inoltre, le nuove regole consentiranno ai richiedenti asilo di lunga permanenza di prendere
la residenza in uno Stato membro diverso da quello che ha garantito la protezione. E’
previsto un aumento delle garanzie contro il “refoulement” (espulsione).
Gli Stati membri avranno due anni di tempo per conformarsi alle nuove norme che sono
state approvato con 561 voti a favore, 29 contrari e 61 astensioni.
Regno Unito, Irlanda e Danimarca hanno deciso di astenersi dal recepire la direttiva.

(*)
COM(2007)0298 –C6-0196/2007 – 2007/0112 (COD)

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EDITO: vi segnalo alcuni importanti articoli (fonte: peacereporter)
Congo, 4 stupri ogni 5 minuti

Questa è la tua Palestina
Israele, ripensare la frontiera
 

meditatore

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"le nostre idee non moriranno mai"...un saluto a Vittorio Arrigoni.

Chi coltiva muore - Gaza

Inizia il raccolto del grano. E al confine con Israele si ripete la stessa scena: i contadini sotto il fuoco dei cecchini.

La settimana scorsa si è svolto il raccolto del grano per alcuni contadini di Khuza'a, villaggio vicino al confine con Israele nel sud della Striscia di Gaza. Per tre giorni essi si sono recati nei campi, partendo molto presto la mattina e raccogliendo i frutti della loro terra. Per tre giorni dalle torrette automatizzate le forze di occupazione israeliane hanno sparato e per tre giorni i contadini hanno continuato a raccogliere il grano, senza permettere a chi sparava dalle torrette a controllo remoto di impedire loro di recarsi nella propria terra. L'area dove i contadini, insieme a tre attivisti internazionali dell'Ism e cinque attivisti palestinesi si sono recati si trovava a circa 450 metri dal confine.

Prima della seconda Intifada qui venivano coltivati angurie e meloni, c'erano alberi da frutto ed olivi. "Venivamo qui a fare barbecue, festeggiare e rilassarci... le jeep israeliane passavano in lontananza ma non ci disturbavano, ci lasciavano in pace." racconta Akhmad. Oggi gli alberi sono stati sradicati, le piante distrutte. L'unica cosa che si riesce a coltivare, perché non richiede attenzioni continue, è il grano. Però anche il grano necessita di diverse ore di lavoro per essere raccolto, ed i cecchini si divertono a terrorizzare i contadini in queste ore. L'otto di maggio sui campi oltre agli attivisti erano presenti inizialmente otto agricoltori, per lo più donne, ma anche un bambino di 13 anni ed una bambina di 7 anni, tutti fratelli e sorelle di una delle famiglie anNajjar residenti nel villaggio. Stavano nei loro dicei dunum di terra raccogliendo il grano giallo oro in diverse fascine, quando anche i vicini, svegliatosi, hanno pensato che la presenza di attivisti (stranieri e non) potesse proteggerli nel lavoro, e hanno deciso si allontanarsi più del solito per raccogliere erbe da dare a mangiare agli animali. Dove finiscono i campi di grano il terreno è incolto e solcato da dune e fossi causati dai bulldozer israeliani, crescono cespugli spinosi e piccole piante che sembrano secche, ma che sono un buon mangime per asini e pecore. Una donna chinata a raccogliere queste erbe alza il volto, allunga il braccio e punta il dito verso una duna a poche decine di metri: "La vedi quella terra li? Quella terra è mia e non ci posso andare." E dalle torrette, le forze di occupazione israeliane non hanno tardato a ricordare chi ha il potere di decidere quali terre possano o no coltivare questi contadini: si sono uditi degli spari in aria, divisi in due raffiche tra le 7.40 e le 8.30. Prima delle 9, improvvisamente e senza preavviso, tre proiettili sono atterrati a cinquanta metri o meno da chi stava lavorando la propria terra. Quando qualcuno spara in aria si sente solo un colpo, ma se il proiettile viene nelle tua direzione è possibile sentire il sibilo, ed il colpo dell'atterraggio. Il terreno era sabbioso e dopo i sibili si sono levate tre nuvole di polvere. Vicine, troppo vicine a un gruppo di quasi venti civili che lavorava in maniera pacifica. Qualche decina di minuti dopo un uomo, inviperito, interrompe la sua raccolta dell'erba per gli animali e indica al di là del confine, dove un trattore sta arando un terreno: "Guarda, gli israeliani possono coltivare indisturbati. Noi, invece, se usciamo qui fuori ci sparano contro!".

Il secondo giorno anche un altro gruppo, sempre legato alla famiglia allargata anNajjar, ha iniziato a raccogliere il grano nella terra vicina, anch'essa che si estende su un'area di dieci dunam. Ma quanto possono rendere 10 dunam di terra? Akhmad anNajjar prova a quantificarlo: "in passato ci portavamo a casa 50-60 borse da un chilo di grano, adesso ne riusciamo a fare tra le dieci e le venti: non riusciamo a prenderci cura della terra perchè non possiamo raggiungerla, e coltivandola sempre a grano per tanti anni di seguito si impoverisce: la dimensione del chicco è molto molto più piccola di quella che era dieci anni fa!".

Dalle torrette di controllo hanno sparato verso le 7.30 e verso le 8, il movimento di jeep e carri armati al di la del confine si cominciava a fare insistente. Il terzo giorno jeep e carri armati hanno continuato a spostarsi incessantemente, alzando nugoli di polvere in quella terra che oggi è riconosciuta come israeliana. Gli spari non sono mancati. Un uomo ci ha spiegato: "tutti i giorni le jeep israeliane si spostano e fanno i loro balletti al di la della rete. Tutti i giorni sparano. Però quando c'è presenza di internazionali sparano un po' meno." Khuza'a è un villaggio di contadini che si trova al sud della striscia di Gaza, nel governatorato di Khan Younis. Il centro di Khuza'a si trova a circa un chilometro dal confine, mentre circa l'80 percento delle terre coltivabili (per un totale di duemila dunam) si trova in aree dove è alto il rischio di essere colpiti dai proiettili israeliani o in zone in cui l'entità sionista ha unilateralmente proibito l'accesso, la cosiddetta "buffer zone".

Moltissimi dunam non sono possono affatto essere coltivati, e l'accesso stesso ad alcune terre è stato ostruito dalle forze di occupazione. Secondo un rapporto dell'Onu, in tutta la Striscia di Gaza le aree coltivabili che rientrano nella "zona ad alto rischio" comprendono il 35 percento delle terre coltivabili dai palestinesi, e non sono rari i casi di contadini feriti anche gravemente od uccisi mentre si recavano a coltivare la propria terra. Akmad spiega perchè ancora e di nuovo nonostante tutto lui e la sua famiglia si recano li a raccogliere il grano: "Vogliamo mangiare, vivere e fare una vita normale. Questo è un nostro diritto, questa è la nostra terra, non ce ne andremo, non abbandoneremo i nostri campi, anche se Israele continua a sparare e cercare di intimorirci."

da Gaza per PeaceReporter

Silvia Todeschin
 

noreason

Natural born Grower
ICMag Donor
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Boy, two, with brain cancer is ‘cured’ after secretly being fed medical marijuana by his father

May 5, 2011 By PENCIL METHOD News Reporter

A desperate father whose son was suffering from a life-threatening brain tumour has revealed he gave him cannabis oil to ease his pain. And he has now apparently made a full recovery.
Cash Hyde, known as Cashy, was a perfectly healthy baby when he was born in June 2008 but became sick shortly before his second birthday.
At first he was misdiagnosed with glandular fever before his parents Mike and Kalli, from Missoula in Montana, were given the devastating news he had a serious brain tumour.
The little boy had to have arduous chemotherapy treatment to reduce the growth, which had drastic side effects including seizures and a blood infection.
His distraught parents were repeatedly told he was likely to succumb to the illness because the condition was so bad.
After one bout of high-dose chemotherapy, Cash was so weak he could not lift his head and was too sick to eat any solid food for 40 days.
It was at this point that Mr Hyde decided to take action and go down the route of medical marijuana to try to help his young son.
Cash’s doctors refused to even discuss the option but his father went and sought authorisation elsewhere and then secretly administered it through his son’s feeding tube.
He also told doctors to stop giving Cash the cocktail of anti-nausea drugs he had been taking – although he never told them what he was doing.
Mr Hyde told KXLY News that his son started looking better right away.
Mr Hyde said: ‘He hadn’t eaten a thing in 40 days – and, it was really incredible to watch him take a bite of a piece of cheese. It shows that he wants to live’.
He credits the cannabis oil with helping his son get through the chemo, and say Cash has now been declared cancer free by doctors.
The boy is now back and home and living the life of a typical young boy, playing with his elder brother Colty.
Medical marijuana is legal in some states, including Montana, but its use for children is poorly understood and quite rate.
The US federal government does not recognise the legality of using the drug for medical reasons and frequently clashes with states over the issue.
Mr Hyde told KXLY: ‘It’s very controversial, it’s very scary. But, there’s nothing more scary than losing your child.’

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Source: Daily Mail UK

http://www.pencilmethod.com/2011/05/05/boy-two-with-brain-cancer-is-cured-after-secretly-being-fed-medical-marijuana-by-his-father/
 

meditatore

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Fincantieri, gli esuberi sono 2500:

ROMA - Peggio del previsto e del temuto 1. Gli esuberi della Fincantieri sono 2.551 su una forza lavoro di 8.500 addetti: su otto stabilimenti, due (Castellammare di Stabia e Sestri Ponente) verranno chiusi, mentre quello di Riva Trigoso (Genova) verrà fortemente ridimensionato con il trasferimento delle costruzioni militari a Muggiano (La Spezia) e conserverà solo le costruzioni meccaniche. Secondo quanto si apprende da fonti sindacali, sono queste le previsioni del piano industriale presentato oggi a Roma ai sindacati dall'amministratore delegato della Fincantieri, Giuseppe Bono.

Gli esuberi riguarderebbero 1.400 addetti dei cantieri per i quali è prevista la chiusura e 1.150 negli altri cinque siti. Appena rimbalzata la notizia dalla capitale, i lavoratori dello storico stabilimento di Sestri Ponente hanno lasciato il posto di lavoro e si sono riversati in strada, dando vita a una manifestazione spontanea davanti ai cancelli. A Roma, davanti alla sede di Confindustria, dove è in corso l'incontro, c'è invece da ore un presidio di lavoratori dell'impianto di Castellammare di Stabia e di aziende dell'indotto, arrivati con sei autobus.

Il durissimo piano industriale è spiegato dal gruppo con la lunga crisi della cantieristica mondiale e in particolare europea, crisi che si ripercuote in modo rilevante sulle navi da crociera che sono il core business del gruppo Fincantieri. Nella cantieristica dopo il picco di produzione del 2007 con 85,9 milioni di tonnellate di stazza, spiega l'azienda, nel 2009 la domanda mondiale si è ridotta del 55% a 38,9 milioni di tonnellate. E la quota di mercato europea si è ridotta sensibilmente: dal 30% degli anni '80, è scesa al 4% nel 2010.

Le cose non vanno meglio per il settore delle navi da crociera. A livello europeo, afferma Fincantieri, nel 2007, c'erano ordini per 16 navi di cui 8 per il gruppo italiano. Nel 2008, gli ordini per le aziende europee sono crollati a tre dei quali due per la Fincantieri. Dopo l'unico ordine per il 2009 a favore del gruppo, nel 2010 gli ordini sono risaliti a quota sei: due per la Fincantieri e due per aziende francesi anche grazie a rilevanti sovvenzioni pubbliche. Dal 2008 al 2010, in Europa sono stati persi 50.000 posti di lavoro pari al 30% della forza lavoro. In Italia grazie agli ammortizzatori e al blocco del turn over finora non ci sono stati licenziamenti.
 

meditatore

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L'unica manifestazione dell'anno che non mi seguo è quella che più mi fa struggere, proprio in virtù del fatto che ogni volta non vi posso partecipare.
Dunque, al grido di "tutti insieme contro la mafia" vi linko due cosette simpatiche:
Grasso vs Alfano:
Foto



PS:
anche quest'anno, vi posto le foto del sicilia pride 2011

ma ovviamente le teste di cazzo omofobe ci sono e ci saranno sempre, contenti di aggredire chi considerano diverso
 

pasqsn

GuerrillaLifestyle
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Sequestri droga. Corleone: l'accanimento è contro la canapa
http://www.over grow-italy.nl/?p=6441

Stefano Balbo (AssociazioneCannabisTerapeutica) vs Serpelloni
http://www.over grow-italy.nl/?p=6399

edit: togliete lo spazio, scusate ma non me le faceva linkare in altri modi...
 
Last edited by a moderator:

meditatore

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Sulla Fiom e i due grossi attributi che si ritrovano gli operai nella lotta:
continua la protesta a Napoli (Foto 1 e 2)
e dilaga anche a Palermo (Articolo e Foto)

Abbiamo visto come e quanto si cacano gli sbirri a caricarli!
E' il momento di unire le lotte.
 

meditatore

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UNIONE EUROPEA: ECCO IL PACCHETTO DI
MISURE CONTRO L’IMMIGRAZIONE
CLANDESTINA​


La Commissaria europea per gli affari interni, la svedese Cecilia Malmstrom, ha presentato
ieri un pacchetto di misure contro l’immigrazione clandestina che era stato anticipato,
come si ricorderà, con una comunicazione lo scorso 4 maggio.
Quali i punti essenziali del pacchetto?
Una clausola di salvaguardia per reintrodurre rapidamente in Europa l’uso
dei visti, in caso di improvvisi aumenti dei flussi migratori;
una nuova politica per l’asilo; accordi su misura con i Paesi del Nord Africa;
facilitazione per l’ingresso nella UE di studenti, ricercatori e uomini d’affari.
Quali obiettivi si pone Bruxelles?
“Sviluppare – ha detto la Malmstrom – una cooperazione più strutturata con i
Paesi del Nord Africa. L’Europa, infatti, sarà sempre più dipendente dai
lavoratori immigrati”.
Nel pacchetto è previsto anche l’introduzione di una “clausola di salvaguardia”, cioè
un emendamento che, passando per una corsia preferenziale, permetterà di rivedere con
estrema rapidità la lista dei paesi i cui cittadini hanno bisogno di visto per entrare
nell’Unione europea.

Attualmente i visti sono necessari per tutti i paesi del nord Africa, mentre
sono liberalizzati per i paesi dei Balcani occidentali, cioè Serbia, Macedonia,
Montenegro e Albania.
"

fonte: sssssegreta!
 

BadSeed

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IL CANNABIS SOCIAL CLUB - UN PROGETTO ENCOD

Da qualche mese ENCOD, una rete europea di oltre cento associazioni che si muovono nel campo delle droghe, lavora su un modello non mercantile di produzione e di distribuzione di cannabis per maggiorenni: il Cannabis Social Club (CSC). I CSC sono associazioni senza fine di lucro che organizzano la coltivazione professionale collettiva di una quantità molto limitata di cannabis sufficiente a soddisfare i bisogni personali dei membri del club.

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La maggioranza dei paesi europei ha depenalizzato il consumo e il possesso di quantità (molto) limitate di cannabis. I Paesi Bassi da tempo ne hanno organizzato il commercio in piccole dosi, ma non l’approvvigionamento legale dei punti di vendita. In Svizzera alcuni cantoni hanno tollerato per molto tempo la coltivazione e la vendita della canapa per usi leciti, senza controllare il THC in essa contenuto. Il mercato regolamentato è stato rifiutato dai deputati nel giugno 2004 e da allora i controlli sono molto stretti e l’economia della canapa ne ha fortemente sofferto, per usare un eufemismo. Non esiste dunque un luogo dove ufficialmente ci si possa rifornire di cannabis. Ogni giorno decine di milioni di consumatori in Europa devono acquistare la canapa che consumano ad organizzazioni più o meno criminali, con conseguenze sanitarie, sociali ed economiche catastrofiche.

Depenalizzare il consumo privato e la produzione in proprio.

La sola alternativa è coltivare in proprio la canapa che si consuma, ma solo pochi paesi tollerano la coltivazione di qualche pianta. Questa produzione individuale è classificata come se si trattasse di un crimine nella maggior parte delle legislazioni europee, mentre in pratica è declassata a semplice delitto. A causa del rischio e delle difficoltà pratiche riesce a coprire solo il 20/25 % del bisogno. L’auto-produzione quindi, anche se tollerata, non costituisce un modello adeguato per rispondere all’immensa domanda. Le convenzioni non impongono di reprimere consumo e coltivazione personali, dunque i governi che lo vogliono possono adottare misure che li regolino senza temere sanzioni internazionali. Un modello più efficace dovrebbe migliorare le garanzie in termini di salubrità della cultura, di diffusione tra i minorenni, di lavoro nero e di commercio illecito.

Non c’è consenso su produzione e distribuzione commerciali.

Parlamenti e governi europei restano ostili a una produzione volta alla commercializzazione regolamentata della cannabis. Affermano che un sistema mercantile sarebbe contrario alle convenzioni internazionali, faciliterebbe esportazione e narco-turismo, comporterebbe un aumento della disponibilità e di conseguenza del consumo, oltre ad essere di incitamento ai giovani. Questi timori sono condivisi da numerosi responsabili europei pur desiderosi di gestire meglio questo fenomeno, come i deputati che hanno approvato il rapporto Catania. Il movimento riformista deve far fronte a queste obiezioni. Una soluzione ci sarebbe, a condizione di accettare il consumo privato da parte di maggiorenni e l’auto-produzione individuale e collettiva di una quantità minima per uso personale.

ENCOD presenta il Cannabis Social Club.

Da qualche mese ENCOD, una rete europea di oltre cento associazioni che si muovono nel campo delle droghe, lavora su un modello non mercantile di produzione e di distribuzione di cannabis per maggiorenni: il Cannabis Social Club (CSC). I CSC sono associazioni senza fine di lucro che organizzano la coltivazione professionale collettiva di una quantità molto limitata di cannabis sufficiente a soddisfare i bisogni personali dei membri del club. La cultura, il trasporto e la distribuzione devono essere sottoposti a controlli di sicurezza e di qualità, senza pubblicità né insegna né vetrina. I membri assicurano l’equilibrio finanziario del sistema versando una tassa che varia in funzione dei loro bisogni. Non deve esserci commercio di cannabis. I membri si devono impegnare a non vendere cannabis e a non incitare altre persone al consumo, soprattutto se minorenni.

Un progetto elaborato da Europei.

Già dei CSC sono operativi in Spagna e Belgio. L’associazione “Trekt Uw Plant” (Crescete la vostra pianta), formata da consumatori di cannabis di Anversa, lancia la sua prima coltivazione collettiva. Secondo la legge federale belga, la coltivazione di una pianta femmina di canapa per persona è tollerata, anche se non legale. Installando una piantagione collettiva, Trekt Uw Plant cerca di risolvere il problema di quelle (molte) persone che non possono coltivarsela da soli. L’azione si propone anche di aumentare la sicurezza legale al riguardo della coltivazione della cannabis, di ridurre il mercato illegale dei derivati della cannabis e l’accesso alla canapa da parte dei giovani e di proteggere la salute dei consumatori. Dopo la sentenza favorevole a un’iniziativa simile, quella dell’associazione Pannagh a Bilbao in aprile 2006, diverse associazioni di consumatori di canapa agiscono in Spagna sotto la sorveglianza delle autorità. Negli USA e in Canadà decine di club, che talvolta funzionano con molta meno trasparenza di quanto previsto da questo modello, sono riservate agli utenti per ragioni terapeutiche.

Un modello adattabile.

Anche altri paesi prendono iniziative sulla base di progetti di questo tipo. A seconda della legislazione esistente e della pratica politica locale, i CSC possono costituirsi sotto forme diverse. Nei paesi o nelle regioni più progressisti, questi circoli privati di consumatori potranno anche proporre ai propri soci uno spazio aperto al consumo di cannabis, offrendo in tal modo una netta separazione dai luoghi del commercio di stupefacenti, e una prevenzione e assistenza di alto livello per gli utenti problematici. Questi luoghi permetterebbero di individuare più in fretta tali casi. Il principio associativo senza scopo di lucro garantisce, più che un approccio commerciale, che il responsabile o il suo eventuale impiegato non spingeranno al consumo. A ciò contribuisce anche la quantità pro capite limitata.

Un’alternativa credibile.

I vantaggi del Cannabis Social Club sono numerosi. In primo luogo questo modello permette la gestione della produzione per consumo personale e la distribuzione senza import/export della cannabis. Non è dunque contrario alle convenzioni internazionali. Offrendo agli adulti la possibilità di rendersi autosufficienti, tutto il mercato diverrà più trasparente. Nella coltivazione si farà capo a tecniche migliori sia dal punto di vista della salute pubblica che da quello della salvaguardia del territorio. Il mercato nero andrà ridimensionandosi e con lui i problemi che da lui dipendono: aumento del tasso di THC, prodotti di taglio, prezzi elevati, violenza, vendita ai minorenni, disturbi occasionati dal consumo in pubblico. Le autorità potranno elaborare una regolamentazione sensata e controllare i CSC durante tutto il processo, dalla coltivazione al consumo. I CSC possono creare impiego e acquistare quantità considerevoli di merci e servizi sottoposti a imposizione fiscale. Questo sistema può mettere rapidamente a disposizione del consumatore un’alternativa al mercato nero.

Per dimostrare determinazione si dovrà cominciare con esperienze pilota ovunque sia possibile: energie rinnovabili, cultura biologica, selezione genetica ragionevole, informazione sui prodotti, quantità individuale realista, quota mensile, coltivazione e distribuzione discrete e sicure, niente pubblicità, allargamento a nuovi membri solo se presentati da un “anziano” per limitare il numero dei soci e l’infiltrazione di elementi perturbatori. Queste sono basi concrete per dare il via ad un’azione indispensabile.

È ora di finirla con il “caso cannabis”.

La produzione e la distribuzione di cannabis in cooperativa creerebbero in Europa quasi 100’000 contratti a durata indeterminata e altrettanti a durata determinata, tempi parziali e impieghi stagionali. I salari, la tassazione e le imposte del ramo reintrodurrebbero ogni anno miliardi di Euro nell’economia ufficiale diventando un fattore innegabile di crescita. I consumatori di cannabis, giovani o meno, non avrebbero più l’impressione di essere ammalati sotto tutela se non addirittura dei criminali. Bisogna cambiare lo statuto legale della cannabis. Come passare da una proibizione totale a una regolamentazione del mercato che protegga la salute e la sicurezza pubbliche e nello stesso tempo garantisca un impatto socio-economico molto positivo?

Servizio minimo: la depenalizzazione.

Senza tradire i suoi impegni internazionali né sconvolgere l’equilibrio europeo in materia di droghe, ogni paese può depenalizzare immediatamente il consumo privato della cannabis e tollerare il possesso pubblico (fuori da casa propria) di 10 grammi e il possesso privato e la produzione di quantità ragionevoli per il consumo degli adulti appartenenti allo stesso fuoco. Potrebbe ad esempio trattarsi di uno stock di 500 grammi e della coltivazione di cinque piante per ogni adulto. Così come succede per il tabacco, il consumo nei luoghi pubblici accessibili ai minorenni e che non dispongono di uno spazio per non fumatori dev’essere proscritta. Sarebbe poi necessario tollerare la vendita di semenza e di talee per facilitare la produzione in proprio onde minimizzare la parte di mercato nero, soprattutto quello d’importazione. La cannabis e i suoi derivati andranno poi reintegrati nella lista dei medicinali con una branca legale dedicata alla cannabis terapeutica.

Con questo si intende ristabilire i diritti di milioni di consumatori che si ritengono criminalizzati ingiustamente, rinvigorire la fiducia nella legge e le istituzioni ,favorire l’accesso al dispositivo terapeutico, conferire maggior coerenza alla politica globale di lotta contro le dipendenze, strutturare un dispositivo efficace di riduzione dei rischi, offrire un’alternativa al mercato nero senza smantellare un’economia parallela (che presenta vantaggi inconfessabili), non esporsi a sanzioni internazionali.

Perché regolamentare?

La depenalizzazione del consumo (insieme alla tolleranza per l’auto-produzione) è solo una misura d’accompagnamento di questo fenomeno sociale di massa. Reintegra la cannabis nella sfera del privato, abbassa la pressione della polizia e della società soprattutto verso i giovani e favorisce un dialogo costruttivo sulla salute pubblica. Riduce ma non fa sparire l’economia parallela, l’evasione di denaro sporco, il controllo della produzione e della distribuzione da parte di gang e organizzazioni criminali. Questo perché la grande maggioranza dei consumatori non ha la possibilità di coltivare la cannabis per sé. Questa sola misura sarebbe vista con favore dai giovani borghesi e dai neo-rurali. I giovani delle periferie si eviterebbero la caccia al pezzetto di hashish e sarebbe già mica male, ma sarebbero sempre sottoposti alla tentazione del commercio. La prevenzione non sarebbe finanziata dalle tasse e le imposte resterebbero inesistenti. È meglio regolamentare la produzione di massa, la distribuzione e il consumo.

Quale statuto per la cannabis?

Questo dispositivo deve tradurre l’idea che l’uso di cannabis, anche se costituisce un pericolo relativo per il consumatore, dev’essere tollerato fino a che concerne solo la vita privata senza causare problemi d’ordine pubblico. Per queste ragioni locali commerciali come le rivendite di sigarette, i bar, e persino i “canapai” modello svizzero e i coffee-shop olandesi sono troppo visibili e adescatori. Facilitano le accuse di lassismo, di cattivo segnale per i giovani, di cannabis in vendita libera al supermercato e di altre immagini negative associate a uno statuto troppo permissivo.

Il dispositivo generale non va confuso in nessun modo con la distribuzione di cannabis terapeutico; non si possono trattare da malati milioni di utilizzatori ragionevoli. Sarebbe un’ipocrisia. In ogni modo i farmacisti non sono entusiasti dell’eventualità di trovarsi a gestire quotidianamente questa popolazione e i laboratori preferiscono lavorare con le costosissime versioni pseudo-sintetiche brevettate piuttosto che con delle piante. Alcuni stati americani e canadesi hanno optato per una larga diffusione della cannabis per ragioni mediche, talvolta molto vaghe. È una misura compassionevole indispensabile per certe patologie ma non deve diventare un sistema parallelo di distribuzione. Ne dipende la credibilità terapeutica della cannabis. Sarebbe possibile applicare ai consumatori abusivi che desiderassero smettere di fumare cannabis il modello sostitutivo in uso per gli oppiacei dando loro da bere una tintura con un tasso di THC decrescente o costante. È un dispositivo di riduzione dei rischi ed eventualmente di disassuefazione che non deve diventare di massa. La maggior parte dei consumatori non apprezzerebbe il fatto di passare dallo statuto di criminale a quello d’ammalato. La soluzione più ragionevole sembra dunque quella della collettivizzazione delle soglie di tolleranza esistenti. I consumatori impossibilitati a coltivare per conto proprio la loro canapa potrebbero raggrupparsi in associazioni senza fine di lucro e dare a queste mandato per assolvere a questo compito. È un sistema assolutamente non mercantile che tuttavia permetterebbe la creazione di numerosi posti di lavoro. Inoltre aggirerebbe l’ostacolo delle convenzioni internazionali.

Cooperativa di produzione.

Le associazioni potranno produrre direttamente per i loro membri o comperare presso produttori riconosciuti. Le deroghe per la produzione di canapa ricca in THC saranno accordate prioritariamente a chi pratica l’agricoltura biologica. Una commissione composta da scienziati, rappresentanti dello stato, produttori e consumatori dovrà stabilire norme sanitarie e processi di fabbricazione accettabili per il consumo umano. Per non contravvenire alla convenzioni che proibiscono il commercio internazionale della cannabis la produzione avverrà sul territorio nazionale.

Un organismo di controllo effettuerà le analisi e le inchieste volte a garantire l’integrità della catena. Le forze di polizia e l’amministrazione fiscale manterranno il loro ruolo nella repressione del mercato di contrabbando e nel far rispettare le regole della tolleranza. Le autorità potranno limitare il numero di deroghe per le coltivazioni.

Circolo di consumatori.

Queste associazioni potranno aprire locali di consumo in situazioni non esposte agli sguardi dei passanti e privi di pubblicità esterna. Questi luoghi, aperti dalle 18.00 a mezzanotte in settimana e alle 2.00 durante i fine settimana, potranno distribuire la cannabis prenotata al momento del versamento della quota. Ogni membro riceve una tessera a unità pre - pagate che corrispondono al suo credito mensile o annuo. Queste quantità massime potranno essere modulate in funzione dell’età del socio. Per bloccare la propagazione del consumo verso i più giovani per imitazione, è opportuno autorizzare l’iscrizione a partire dai 16 anni. È un età sensata pensando al diritto di consumare birra al bar e all’età media dei consumatori. Si potrebbe in cambio limitare a 30 grammi al mese la quantità di cannabis consentita fino a compiere i 18 anni, a 60 g/mese tra i 18 e i 21 anni e a 100 g/mese al di là dei 21 anni. Tutto ciò per limitare gli eccessi e il mercato nero verso bambini e narco-turisti. Le quote d’adesione conterranno un versamento supplementare per la prevenzione e la sicurezza sociale. Questi circoli privati di consumatori potranno così offrire ai loro aderenti uno spazio aperto al consumo affinché possano staccarsi completamente dalla scena del mercato degli stupefacenti, una politica attiva di lotta contro la violenza stradale, un depistaggio dei consumatori con problemi per orientarli verso le strutture di prevenzione e assistenza. Le associazioni dovranno rispettare un mansionario; vendita e consumo d’alcool saranno proibiti, obbligo di tenere a disposizione dei vaporizzatori e organizzazione di campagne di prevenzione contro il fumo e su altri temi relativi alla salute, consumazione gratuita per i conducenti astinenti, adesione del club a una o più associazioni che forniscono un conducente sul modello delle operazioni “nez rouge”, prevenzione della violenza. Le autorità potranno limitare il numero di questi circoli e le zone d’insediamento a dipendenza di considerazioni di ordine pubblico.

Beneficio socio-economico.

Questo dispositivo permetterebbe la creazione di migliaia di posti di lavoro non qualificati nella produzione, condizionamento, sicurezza e distribuzione della cannabis per gli adulti. Le minoranze etniche spesso conoscono meglio questo mercato e questi prodotti e potrebbero dunque fornire una mano d’opera eccellente senza criteri di discriminazione. Dei circoli potrebbero stabilirsi in quei quartieri che si trovano ora ad essere assolutamente privi di luoghi dedicati alla vita sociale.

I proventi di un sistema associativo basterebbero per alimentare una politica di educazione sanitaria che comprenda una prevenzione oggettiva e la riduzione dei rischi legati all’assunzione di tutte le droghe. Questo dispositivo includerebbe l’individuazione e l’assistenza socio-sanitaria degli utenti abusivi e delle loro famiglie. Rimarrebbero senz’altro anche i quattrini per finanziare l’animazione socio-culturale locale.

http://www.cannabis-clubs.eu/
 

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