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1. CANNABIS E SISTEMA ENDOCANNABINOIDE​

Negli ultimi anni, diversi studi hanno dimostrato che i derivati della cannabis possono avere un ruolo nel trattamento di sintomi correlati a patologie del Sistema Nervoso.
La Cannabis Sativa L è tra le più antiche specie botaniche note al genere umano e vanta una lunghissima storia di uso e di abuso per scopi ricreativi, terapeutici e religiosi. Abbiamo approfondito l’argomento in questo articolo: Che cos’è la Cannabis Medica?
Dalla cannabis sono stati isolati ed identificati oltre 500 composti, ma le sue proprietà farmaco terapeutiche e psicotrope sono state attribuite principalmente al delta-9-tetraidrocannabinolo (Δ9 –THC), un composto psicoattivo che, insieme ad altri composti lipidici, quali cannabidiolo (CBD) e cannabinolo (CBN), sono concentrati nella resina della pianta.
Date le numerose proprietà di questa pianta, considerata una vera e propria erba medica, sono state condotte numerose ricerche al fine di individuare le basi molecolari dei suoi effetti farmacologici. Questi studi, supportati dalle tecniche di biologia molecolare e di cristallografia, hanno portato all’identificazione e alla clonazione di due recettori (proteine di membrana con le quali interagisce il THC) che vengono legati dai cannabinoidi naturali e che, quindi, sono presumibilmente responsabili del loro effetto.
Questi recettori rappresentano i siti specifici di legame per i cannabinoidi, distribuiti sulla superficie di molti tipi di cellule.
La presenza dei recettori nell’organismo ha reso lecita, dunque, l’ipotesi che l’organismo stesso sia in grado di produrre dei ligandi, ovvero delle sostanze che, in maniera fisiologica, interagiscono con i suddetti recettori. La conferma è derivata dal successivo isolamento di ligandi endogeni (sostanze generate dai nostri corpi) per i recettori dei cannabinoidi, chiamati appunto endocannabinoidi.

2. LA FISIOLOGIA DEL SISTEMA ENDOCANNABINOIDE NELLA PERCEZIONE DEL DOLORE​

Il Sistema Endocannabinoide è un complesso sistema endogeno di comunicazione tra cellule. Esso è composto da recettori cannabinoidi, chiamati CB1 e CB2, i loro ligandi endogeni (gli endocannabinoidi) e le proteine coinvolte nel metabolismo (sintesi e degradazione) e nel trasporto degli endocannabinoidi. [1]
In base alla localizzazione dei recettori cannabinoidi nell’organismo è stato ipotizzato che il Sistema Endocannabinoide sia coinvolto in un gran numero di processi fisiologici, tra i quali:
  • il controllo motorio
  • la memoria e l’apprendimento
  • la percezione del dolore
  • la regolazione dell’equilibrio energetico
  • l’assunzione di cibo e i ritmi sonno/veglia

I recettori CB1 sono prevalentemente espressi nel Sistema Nervoso Centrale (SNC) in particolare nel: [2] [3]
  • sistema limbico (coinvolto nei processi di memorizzazione e nel controllo di stati emotivi quali rabbia, desiderio e paura)
  • gangli basali (centri preposti al controllo della motilità involontaria che comprendono le strutture cerebrali della substantia nigra, globo pallido, nucleo caudato e putamen)
  • cervelletto (parte del sistema nervoso che controlla equilibrio e coordinazione dei movimenti volontari)
  • lamine delle corna dorsali del midollo spinale (ricezione degli stimoli).
  • porzione ventro-laterale dell’area grigia periacqueduttale (VL_PAG), area responsabile della modulazione del dolore

I recettori CB2 invece sono localizzati nella periferia. In particolare:
  • sulle cellule B e NK del sistema immunitario [4]
Questi recettori contribuiscono all’effetto immunosoppressivo e antiinfiammatorio dei cannabinoidi in quanto modulano il rilascio di citochine.
Inoltre i recettori CB2 sono espressi da cellule immunitarie residenti nel Sistema Nervoso Centrale chiamate microglia e sugli astrociti e, quando stimolati, riducono le forme proinfiammatorie di tali cellule, risultando in una riduzione del dolore cronico [5]
Scienziati hanno descritto come l’attivazione dei CB2 porti al rilascio di endorfine da parte dei cheratinociti (le cellule della pelle), che agiscono tramite la via oppiode dei recettori μ, contribuendo all’effetto analgesico. [6]
Recettori-cannabici-600x486-min.jpg
Fig.1: Rappresentazione schematica della membrana cellulare con recettori cannabinoidi e i due principali endocannabinoidi (Fonte: Corso Sistema Endocannabinoide)

3. GLI ENDOCANNABINOIDI​

I ligandi endogeni vengono sintetizzati a partire da precursori fosfolipidici contenuti presumilbilmente nella membrana cellulare. Essi vengono rilasciati all’esterno della cellula solo quando questa è stimolata, quindi a differenza degli altri neurotrasmettitori non vengono rilasciati dalle vescicole sinaptiche. [7]
Nel 1992, Raphael Mechoulam e i suoi collaboratori identificarono l’ arachidoniletanolamide, che fu chiamata anandamide (AEA), dal termine Ananda che significa “stato di grazia” o anche “beatitudine eterna”, e definirono tale molecola come il primo composto endogeno che lega il recettore CB1 con elevata affinità. [8]
Nel 1995, fu identificato il secondo endocannabinoide il 2-arachidonilglicerolo (2-AG), che è più abbondante dell’Anandamide nel cervello. [9] Sia la sintesi che la degradazione degli endocannabinoidi avviene ad opera di alcuni enzimi.
Gli endocannabinoidi vengono prodotti per proteggere l’organismo da danni causati da varie situazioni patologiche esercitando azione anti-ossidativa, immunosoppressiva, antinfiammatoria e, in particolare, analgesica, legandosi ai recettori CB1 e CB2. [10] Inoltre, è stato dimostrato che essi riducono i sintomi del dolore persistente, l’allodinia e l’iperalgesia. [11]

4. IL DOLORE COME PATOLOGIA NEUROLOGICA/NEUROPSICHIATRICA​

La percezione del dolore è un meccanismo critico dell’auto-difesa del corpo, permettendoci di interrompere il contatto con uno stimolo potenzialmente deteriorante.
Quando avvertiamo dolore in maniera cronica, spesso come conseguenza di una disfunzione nervosa o metabolica (per esempio nel caso del dolore neuropatico), è di fondamentale importanza trovare agenti in grado di targhetizzare le vie che lo producono.
Si stima che tra il 6.9% e il 10% della popolazione sviluppi una forma di dolore neuropatico – una sensazione cronica di dolore che si verifica a causa della degenerazione o dalla disfunzione dei neuroni- spesso come conseguenza di altre patologie (cancro, diabete etc). [12] Nonostante le cause della problematica siano molteplici, la conseguenza è simile:
  • iper-eccitazione del sistema nervoso (iperalgesia),
  • allodinia (una sensazione di dolore evocata da stimoli non nocivi).
Queste due sintomatologie dolorose, l’allodinia e l’iperalgesia, sono definite in medicina “disestesie” (pensate ad una vera e propria “allucinazione tattile” che deriva da lesioni sul midollo spinale) o “parestesie” (formicolii locali e ipersensibilità), e rappresentano i sintomi che maggiormente limitano la qualità di vita del paziente affetto da dolore cronico, in particolare da dolore neuropatico:
  • L’iperalgesia non è altro che una percezione amplificata ad uno stimolo doloroso.
    In molti casi è possibile descrivere una iperalgesia primaria (accentuata percezione degli stimoli dolorifici in corrispondenza dell’area di lesione tissutale) ed una secondaria (accentuata percezione degli stimoli dolorifici nelle zone circostanti l’area di lesione).
  • Lo stesso vale per l’allodinia, che invece è definita come una percezione dolorosa in seguito ad uno stimolo innocuo. L’allodinia è un sintomo altamente limitante, in quanto è riferito dai pazienti come una scarica elettrica o una sensazione “tipo aghi che penetrano nel corpo” che arriva all’improvviso.

A queste sintomatologie dolorose si aggiungono una serie di cambiamenti neuropsichiatrici che vengono definiti in medicina “comorbidità”. Tali comorbidità quali:
  • ansia,
  • depressione,
  • disfunzioni cognitive,
  • perdita di memoria,
rendono il dolore neuropatico una vera e propria patologia neurologica/neuropsichiatrica che ad oggi non ha un adeguato trattamento farmacologico.

5. DOLORE NEUROPATICO: DA COSA È CAUSATO​

Il dolore neuropatico è causato da un danno spesso irreversibile che colpisce il sistema di percezione del dolore e compare dopo una lesione del Sistema Nervoso Centrale (cervello e midollo spinale) o del Sistema Nervoso Periferico (radici nervose, plessi, nervi). Ciò comporta fenomeni di riarrangiamento della comunicazione dei neuroni (plasticità neuronale), che rende la percezione di stimolazioni innocue come dolorose.
I processi che sostengono il dolore neuropatico possono venire raggruppati in due grandi categorie:

1) La genesi ectopica di impulsi nocicettivi.​

Il termine ectopico deriva dal greco έκ τοπος e significa letteralmente “fuori dal luogo”.
Viene attribuito ai potenziali d’azione che si generano direttamente nelle fibre nervose senza che avvenga l’attivazione della terminazione nervosa corrispondente (ciò si osserva ad esempio anche nell’epilessia). In altre parole questi sono impulsi elettrici anomali generati da assoni o gangli.

2) L’ ipersensibilità dei neuroni nocicettivi centrali

A livello del corno posteriore, del talamo e della corteccia sensitiva sono stati identificati due tipi di neuroni nocicettivi (ovvero, cellule del cervello deputate alla percezione del dolore, dal latino “nocere“).
In condizioni di normalità, questi due tipi di neuroni possiedono comportamenti differenti e ben identificati: [13]
  • Il primo, il neurone nocicettivo specifico, è connesso perifericamente solo con fibre dolorose e risponde solo a stimoli di elevata intensità (stimoli dolorosi)
  • Il secondo, il neurone ad ampio spettro dinamico, risponde a stimoli di bassa intensità con basse frequenze di scarica e a stimoli di elevata intensità (stimoli dolorosi) con elevate frequenze di scarica.
In seguito a danni periferici (nervosi e non), i neuroni ad ampio spettro dinamico possono subire una modificazione della loro funzione ed iniziare a scaricare frequenze marcatamente nocicettive anche in seguito a stimoli normalmente non nocivi o a stimoli normalmente solo debolmente nocivi.

6. PERCHÈ SCEGLIERE UNA TERAPIA A BASE DI CANNABINOIDI?​

Il dolore cronico in generale e neuropatico nello specifico, rappresentano oggi il primo target terapeutico per i medicinali a base di cannabinoidi.
Storicamente, era prevalente la convinzione che l’efficacia analgesica dei cannabinoidi non fosse all’altezza di quella degli oppioidi. Tuttavia, la ricerca contemporanea suggerisce un cambiamento di prospettiva, indicando che “la cannabis per uso medico può essere altrettanto efficace e comportare meno interruzioni della terapia rispetto agli oppioidi per il trattamento del dolore cronico non oncologico”. [14] Questa intuizione emerge da una recente revisione sistematica e meta-analisi della letteratura, che indica una rivalutazione del potenziale terapeutico della cannabis rispetto ai trattamenti tradizionali a base di oppioidi per il dolore persistente non tumorale.
Infatti, esistono diverse forme di dolore, incluso il dolore neuropatico di diversa natura o anche patologie ancora non ben definite da un punto di vista eziopatologico come la fibromialgia, in cui l’impiego di oppioidi ha scarsa efficacia.
Questo effetto paradosso è dovuto a molteplici fattori, molti dei quali non sono ancora ben identificati. In queste patologie, di contro, i cannabinoidi hanno dimostrato una buona efficacia terapeutica.
Una delle ragioni può essere attribuita al fatto che le scariche spontanee che portano alla sensazione di dolore sono state localizzate principalmente nelle fibre mieliniche afferenti di tipo A, ricche in recettori cannabinoidi, ma non di recettori oppioidi. [12]
Studi clinici ancora non pubblicati riportano come la terapia a base di cannabinoidi generi una sorta di allontanamento del paziente dall’attesa del dolore.
Tornando alla definizione che abbiamo dato di allodinia, una scarica elettrica improvvisa, capiamo che l’attesa di questo momento è determinante nella genesi di quelle comorbidità (ansia, depressione etc) che rendono nel loro insieme queste tipologie di dolore delle vere malattie.
I medicinali correntemente in uso per trattare il dolore sono ancora principalmente gli oppioidi, ma solo circa il 50% dei pazienti trova sollievo con tali cure, evidenziando come la clinica potrebbe beneficiare enormemente da medicinali orientati alla modulazione del tono cannabinoide. [15]
Inoltre sembrerebbe che a livello sovraspinale esista un sinergismo tra i recettori oppioidi e cannabinoidi, indicando che l’analgesia da morfina può essere aumentata dai cannabinoidi.
L’utilizzo dei cannabinoidi riduce la necessità della morfina. Il THC è in grado di ridurre la dose minima efficace (ED50) della morfina del 55%, del metadone del 75% e della codeina del 96%. [16]

7. GLI ENDOCANNABINOIDI ALLEVIANO IL DOLORE​

Numerose evidenze scientifiche dimostrano che entrambi gli endocannabinoidi AEA e 2-AG inducono analgesia. [17]
  • L’effetto analgesico dei cannabinoidi è esplicato attraverso la stimolazione dei propri recettori CB1 e CB2, ma anche mediante il coinvolgimento di altri sistemi di neurotrasmissione come: la noradrenalina,
  • la serotonina,
  • i sistemi di natura peptidica (orexine, endorfine),
  • il sistema purinergico (adenosina).

Tuttavia i mediatori maggiormente modulati dai cannabinoidi sono:
  • il glutammato, che rappresenta l’aminoacido eccitatorio per eccellenza del nostro Sistema Nervoso Centrale),
  • l’acido gamma amino butirrico (GABA), che invece rappresenta l’aminoacido inibitorio più importante del nostro SNC.

A seguito di una lesione, il livello di endocannabinoidi aumenta; questo avviene sia localmente, presso il sito dell’infiammazione, che sistematicamente su altri target della via del dolore.
Tale reazione è la prima risposta anti-dolorifica del corpo al dolore, ovvero sintetizzare più endocannabinoidi per un duplice obiettivo:
1) inibire la conduzione di terminali nervosi che stanno trasmettendo la sensazione di dolore
2) coinvolgere mediatori anti-infiammatori per ridurre il danno al sito della ferita

8. LA PAROLA AL RICERCATORE: PROSPETTIVE PER IL FUTURO​

Lo scopo della ricerca di base e clinica è quello di:
  1. Identificare nuovi target farmacologici potenzialmente ascrivibili al Sistema Endocannabinoide
  2. Comprendere meglio i meccanismi d’azione dei composti presenti nella Cannabis e le possibili interazioni sinergiche tra i vari componenti attivi
  3. Comprendere le interazioni tra i cannabinoidi esogeni e quelli endogeni
  4. Identificare molecole che abbiano un effetto terapeutico con scarsi effetti collaterali o psicoattivi
In conclusione, il Sistema Endocannabinoide rappresenta uno strumento farmacologico estremamente importante per il trattamento di patologie cronico-degenerative come il dolore neuropatico e altre forme di dolore con componenti affettive ed emotive molto forti come la fibromialgia.
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Referenze​

  1. Di Marzo V.
    Endocannabinoids’ and other fatty acid derivatives with cannabimimetic properties: biochemistry and possible physiopathological relevance.
    Biochim Biophys Acta. 1998; 1392(2-3):153-75. Review.[]
  2. Bisogno T, Berrendero F, Ambrosino G, Cebeira M, Ramos JA, Fernandez-Ruiz JJ, Di Marzo V.
    Brain regional distribution of endocannabinoids: implications for their biosynthesis and biological function.
    Biochem Biophys Res Commun. 1999;256(2):377-80.[]
  3. Herkenham M., Lynn A.B., Johnson M.R., Melvin L.S., de Costa B.R., Rice K.C., 1991.
    Characterization and localization of cannabinoid receptors in rat brain: a quantitative in vitro autoradiographic study.
    J. Neurosci. 11: 563-583.[]
  4. Schatz A.R., Lee M., Die R.B., Pulaski J.T., Kaminski N.E., 1997.
    Cannabinoid receptor CB1 and CB2: a characterization of expression and adenylate cyclise modulation within the immune system.
    Toxicol Appl a Pharmacol. 142: 278-287.[]
  5. Luongo L, Palazzo E, Tambaro S, Giordano C, Gatta L, Scafuro MA, Rossi FS, Lazzari P, Pani L, de Novellis V, Malcangio M, Maione S.
    1-(2′,4′-dichlorophenyl)-6- methyl-N-cyclohexylamine-1,4-dihydroindeno[1,2-c]pyrazole-3-carboxamide, a novel CB2 agonist, alleviates neuropathic pain through functional microglial changes in mice.
    Neurobiol Dis. 2010;37(1):177-85.[]
  6. Ibrahim MM, Porreca F, Lai J, Albrecht PJ, Rice FL, Khodorova A, Davar G, Makriyannis A, Vanderah TW, Mata HP, Malan TP Jr.
    CB2 cannabinoid receptor activation produces antinociception by stimulating peripheral release of endogenous opioids.
    Proc Natl Acad Sci USA 2005, 102:3093-3098[]
  7. Piomelli D., 2003.
    The molecular logic of endocannabinoid signalling.
    Nat Rev Neurosci. 4: 873-884.[]
  8. Devane W.A., Hanus L., Stevenson L.A., Griffin G., Mandelbaum A., Etinger A., Mechoulam R., 1992.
    Isolation and structure of a brain constituent that binds to the cannabinoid receptor.
    Science 258 : 1946-1949.[]
  9. A. R., Gopher, A., Almog, S., Martin, B. R., Compton, D. R., Pertwee, R. G., Griffin, G., Bayewitch, M., Barg, J., Vogel, Z., 1995.
    Identification of an endogenous 2-monoglyceride, present in canine gut, that binds to cannabinoid receptors.
    Biochem. Pharmacol.; 50: 83-90.[]
  10. Calignano, A., La Rana, G., Giuffrida, A., & Piomelli, D. (1998).
    Control of pain initiation by endogenous cannabinoids.
    Nature, 394(6690), 277.[]
  11. Martin, W. J., Loo, C. M., & Basbaum, A. I. (1999).
    Spinal cannabinoids are anti- allodynic in rats with persistent inflammation.
    Pain, 82(2), 199-205.[]
  12. Van Hecke, O., Austin, S. K., Khan, R. A., Smith, B. H., & Torrance, N. (2014).
    Neuropathic pain in the general population: a systematic review of epidemiological studies.
    PAIN, 155(4), 654-662.[][]
  13. Woolf, C. J., & Fitzgerald, M. (1983).
    The properties of neurones recorded in the superficial dorsal horn of the rat spinal cord.
    Journal of Comparative Neurology, 221(3), 313-328.[]
  14. Haron M. Jeddi, Jason W. Busse, et al.
    Cannabis for medical use versus opioids for chronic non-cancer pain: a systematic review and network meta-analysis of randomised clinical trials.
    BMJ Volume 14, Issue 1[]
  15. Martin, B.R., Lichtman, A.H. (1998)
    Cannabinoid transmission and pain perception.
    Neurobiol.Dis., 5, 447-461.[]
  16. Cichewicz DL et al.
    Enhancement mu opioid antinociception by oral delta9- tetrahydrocannabinol: dose-response analysis and receptor identification.
    J Pharmacol Exp Ther 1999; 289(2): 859-867.[]
  17. Pertwee RG.
    Cannabinoid receptors and pain.
    Prog Neurobiol 2001, 63:569-611[]
dimenticavo , tutti i link sono funzionanti per chi volesse approfondire 😇 :tiphat:
 

can'tfindmyway

Too old Senior Member
ancora una e poi basta... per oggi....
molti di voi sono ancora giovani e baldanzosi.... qualcun altro no😇:ROFLMAO:... prevenire e meglio che curare....cosi dicono....quindi beccatevi questo, dedicato a tutti i "nonni" , o comunque a tutti quelli che hanno purtroppo avuto a che fare con qualche familiare affetto da questa tragedia che nel futuro sara' sempre piu grande......chissa perche....:rolleyes:

INDICE


1. La malattia di Alzheimer​

La malattia di Alzheimer è il tipo più comune di demenza -un termine generico che indica una diminuzione delle capacità cognitive sufficientemente grave da interferire con le attività quotidiane. L’Alzheimer rappresentando almeno i due terzi dei casi di demenza nelle persone di 65 anni e oltre. Si tratta di una malattia neurodegenerativa con insorgenza insidiosa e deterioramento progressivo delle funzioni comportamentali e cognitive, tra cui :
  • memoria,
  • comprensione,
  • linguaggio, attenzione,
  • ragionamento.

L’insorgenza prima dei 65 anni (insorgenza precoce) è rara e si osserva in meno del 10% dei pazienti affetti da malattia di Alzheimer.
Infatti, la malattia di Alzheimer è tipicamente una condizione legata all’anzianità. La prevalenza globale della demenza è riportata essere fino a 24 milioni di casi e si prevede che aumenterà di 4 volte entro il 2050.
Il costo stimato per l’assistenza sanitaria della malattia di Alzheimer è di 172 miliardi di dollari all’anno solo negli Stati Uniti.
L’incidenza della malattia di Alzheimer raddoppia ogni 5 anni dopo i 65 anni. L’incidenza specifica per età aumenta significativamente da meno dell’1% all’anno prima dei 65 anni al 6% all’anno dopo gli 85 anni.

1.1 Caratteristiche fisiopatologiche e genetiche​

La malattia di Alzheimer è una patologia neurodegenerativa graduale e progressiva caratterizzata dall’accumulo di placche neuritiche e grovigli neurofibrillari nel cervello:
  • Le placche sono lesioni microscopiche, dovute all’accumulo di frammenti proteici detti peptidi beta-amiloidi; queste placche si sviluppano intorno ai vasi cerebrali e nella materia grigia del cervello.
  • I grovigli neurofibrillari sono costituiti dalla proteina tau; si formano a causa dell’iperfosforilazione di tau, portando a una serie di conseguenze negative nelle cellule nervose.

Altri tratti distintivi dell’Alzheimer includono:
  • la degenerazione delle cellule piramidali dell’ippocampo,
  • la perdita neuronale in una zona del cervello denominata Nuclei Basali di Myenert, con conseguente riduzione dei livello di acetilcolina,
  • il possibile contributo vascolare alla malattia, sebbene non completamente compreso.

A livello genetico, l’Alzheimer può essere ereditato come disturbo autosomico dominante, con mutazioni nei geni come:
  • APP,
  • PSEN1,
  • PSEN2

Inoltre, la presenza di una variante del gene APOE è associata a un aumentato rischio di Alzheimer, specialmente nelle forme sporadiche e familiari. Varianti nel gene SORT1 state osservate sia nella forma familiare che sporadica della malattia.

1.2 I sintomi​

I sintomi della malattia di Alzheimer dipendono dallo stadio della malattia, che è classificata, in base al grado di compromissione cognitiva, in:
  • preclinica o presintomatica,
  • lieve,
  • stadio della demenza.

Il sintomo iniziale e più comune è la perdita episodica della memoria a breve termine, mentre la memoria a lungo termine viene relativamente risparmiata.
L’impairment della memoria a breve termine è seguito da:
  • problemi di risoluzione, giudizio, funzioni esecutive,
  • mancanza di motivazione e disorganizzazione,
  • difficoltà nel portare a termine i compiti e nel pensiero astratto.

Nelle prime fasi, l’impairment delle funzioni esecutive varia da sottile a significativo, seguito da disturbi del linguaggio e delle abilità visuali e spaziali.
Sintomi neuropsichiatrici come apatia, ritiro sociale, disinibizione, agitazione, psicosi e vagabondaggio sono comuni nelle fasi intermedie e tardive.
Altre manifestazioni tardive includono:
  • difficoltà nell’esecuzione di compiti motori appresi (dyspraxia),
  • disfunzioni olfattive,
  • disturbi del sonno,
  • segni motori extrapiramidali come distonia, acatisia e sintomi parkinsoniani
Queste manifestazioni sono seguite da riflessi primitivi, incontinenza e dipendenza totale dai caregivers.

1.3 I trattamenti disponibili​

Attualmente, non esiste una cura per la malattia di Alzheimer, e i trattamenti disponibili mirano principalmente a gestire i sintomi. Due categorie di farmaci approvati includono:
  • gli inibitori della colinesterasi, come donepezil, rivastigmina e galantamina, che agiscono aumentando i livelli di acetilcolina;
  • la memantina, un antagonista parziale del recettore N-metil D-aspartato (NMDA), approvata per forme moderate a gravi.

I benefici di questi trattamenti sono limitati e gli effetti collaterali spesso molto gravi ne limitano l’utilizzo.
Inoltre, nei pazienti è fondamentale trattare anche problemi comuni nelle fasi avanzate della malattia di Alzheimer, come:
  • ansia,
  • depressione e psicosi,
  • disturbi del sonno.

2. Il Sistema Endocannabinoide nell’Alzheimer​

Il Sistema Endocannabinoide è coinvolto in molteplici processi biologici, e il suo coinvolgimento nella malattia di Alzheimer ha suscitato interesse per le sue potenziali applicazioni terapeutiche. Nel contesto di questa patologia, il Sistema Endocannabinoide sembra giocare un ruolo chiave nella regolazione di vari fattori:
  1. Attività anti-infiammatoria: Il Sistema Endocannabinoide è coinvolto nella modulazione della risposta infiammatoria nel cervello. Nei pazienti con AD, l’infiammazione cronica è un tratto comune. Gli endocannabinoidi possono agire su recettori specifici, come i CB2 degli astrociti o delle cellule gliali, per ridurre l’infiammazione e proteggere i neuroni dall’accumulo di placche amiloidi.
  2. Neuroprotezione: Sia il THC che il CBD possono esercitare effetti neuroprotettivi. Ciò è significativo poiché l’Alzheimer è caratterizzata da danni neuronali e dalla perdita di sinapsi. Attivando il Sistema Endocannabinoide, si può promuovere la sopravvivenza delle cellule nervose e mitigare i danni neurali.
  3. Controllo della risposta immunitaria: Il Sistema Endocannabinoide può modulare la risposta immunitaria, svolgendo un ruolo nell’equilibrio tra risposte infiammatorie e anti-infiammatorie. Questa capacità di regolare l’attività immunitaria può essere cruciale nell’Alzheimer, dove l’infiammazione e il sistema immunitario possono contribuire al progresso della malattia.
  4. Impatto sui processi cognitivi: Gli endocannabinoidi possono influenzare la memoria e le funzioni cognitive attraverso l’interazione con i recettori CB1 nel cervello. Questo è particolarmente rilevante nell’Alzheimer, in cui il deterioramento cognitivo è una caratteristica chiave.

L’utilizzo di fitocannabinoidi, la modulazione del Sistema Endocannabinoide con composti sintetici, come gli inibitori dell’enzima FAAH, o l’utilizzo della cannabis per l’Alzheimer, potrebbero offrire un approccio terapeutico innovativo, fornendo una serie di benefici che vanno dalla riduzione dell’infiammazione alla protezione neuronale e al miglioramento delle funzioni cognitive.

2.2 Gli studi preclinici​

In modelli cellulari di Alzheimer, l’anandamide ha dimostrato di prevenire la neurotossicità indotta dal peptide β-amiloide. [1]
La stimolazione del recettore CB1 in cellule microgliali di ratti ha inibito il rilascio di ossido nitrico (NO), associato agli effetti neurotossici del peptide β-amiloide [2]
Anche il CBD, che non si lega ai recettori CB1 e CB2, ha mostrato effetti protettivi contro la neurotossicità indotta da peptide β-amiloide in modelli cellulari [3]
In studi su topi, il blocco del recettore CB1 ha migliorato il deficit di memoria indotto dall’amministrazione del peptide β-amiloide, presumibilmente aumentando i livelli di acetilcolinanell’ippocampo [4]
Analisi di campioni di tessuto cerebrale di pazienti con Alzheimer indicano che l’espressione dei recettori CB1 non varia molto rispetto ai controlli sani, mentre l’espressione dei recettori CB2 e dell’enzima FAAH risulta aumentata nelle cellule microgliali associate alle placche neuritiche [5]
L’ipotesi che il deposito di peptide β-amiloide induca il rilascio di endocannabinoidi da neuroni e cellule gliali, attivando vie neuroprotettive tramite CB1 e modulando il rilascio di mediatori infiammatori nelle microglie attraverso CB2, potrebbe spiegare gli effetti benefici degli agonisti CB1 e CB2 e degli antagonisti FAAH nell’Alzheimer.
Uno studio pilota su pazienti in fase avanzata di demenza ha anche evidenziato miglioramenti significativi nei sintomi comportamentali con l’uso di dronabinolo (THC sintetico), suggerendo un potenziale beneficio clinico dei cannabinoidi [6]
Tuttavia, è importante notare che la ricerca in questo campo è ancora in corso, e ulteriori studi clinici sono necessari per valutare appieno l’efficacia e la sicurezza di tali approcci terapeutici.
Tuttavia, cannabis e cannabinoidi potrebbero essere utili per:
  • riduzione dell’infiammazione cerebrale,
  • miglioramento delle funzioni cognitive,
  • possibile miglioramento dell’umore e del comportamento,
  • possibile analgesia.

3. Cannabis e Alzheimer: lo studio clinico con le microdosi​

Per quanto riguarda l’uso di cannabis nell’Alzheimer, nel 2022 è stato pubblicato un’interessante case study ad opera di medici e ricercatori brasiliani, su una terapia con micro dosi di THC e CBD in un paziente affetto da Alzheimer. [7]
Lo studio riguarda un uomo di 75 anni, con diagnosi di Alzheimer da 2 anni. Le condizioni cliniche neurologiche avevano evidenziato:
  • perdita di memoria,
  • disorientamento spaziale e temporale,
  • dimenticanza (ad esempio, di persone e fatti),
  • narrazione costante in modalità ripetuta,
  • mancanza di iniziativa,
  • segni di possibile depressione,
  • difficoltà nell’organizzazione, nella pianificazione e nell’esecuzione delle azioni,
  • incapacità di svolgere semplici attività igieniche e di cucina e, quindi, incapacità di vivere senza assistenza.

Prima di iniziare con la cannabis, l’uomo era in terapia con Memantina 10 mg al giorno.
Al paziente è stato prescritto un micro-dosaggio con olio di cannabis, contenente una proporzione di THC:CBD di 8:1, per un dosaggio finale di 500 µg di THC al giorno.
Il trattamento descritto ha attenuato i sintomi dell’Alzheimer, rapidamente e con conseguenze a lungo termine.
Il miglioramento cognitivo e della memoria è durato per più di un anno dopo l’inizio del trattamento ed è rimasto stabile durante la valutazione/follow-up del paziente, per più di un anno. Gli esami di imaging, tra cui la tomografia computerizzata (che esclude altre probabili cause di demenza), l’esame neurologico, gli esami del siero per la tiroide, i reni, il fegato, gli elettroliti e l’emocromo completo erano tutti normali prima dell’inizio del trattamento sperimentale e sono rimasti invariati per tutto il periodo di follow-up del paziente.
Nessun effetto collaterale significativo è stato riportato, tranne per una lieve sonnolenza iniziale.
Il paziente è stato monitorato per 12 mesi con regolari visite di follow-up, durante le quali sono stati osservati miglioramenti continui nella funzione cognitiva.
Per avere maggiori informazioni su come trattare pazienti affetti dalla malattia di Alzheimer, leggi il nostro articolo Cannabis per anziani: il protocollo clinico.
Inoltre, è possibile approfondire questo caso clinico, insieme a tanti altri casi clinici sull’utilizzo di cannabis e cannabinoidi in svariate condizioni cliniche nel Manuale di Cannabiscienza “Principi di Cannabinologia Clinica”, che offre anche una visione a 360° sulla Cannabis Medica, il Sistema Endocannabinoide e le condizioni dove la cannabis è risultata efficace.

4. Conclusioni su Cannabis e Alzheimer​

Attualmente, non esiste una cura per l’Alzheimer. I trattamenti approvati mirano principalmente a gestire i sintomi, con benefici limitati e effetti collaterali significativi. La necessità di trovare una cura o quantomeno un rimedio sintomatologico efficace per l’Alzheimer è impellente, considerando che nel 2050 si prevede che saranno più di 90 milioni le persone affette da Alzheimer nel mondo.
La cannabis per l’Alzheimer potrebbe rappresentare la giusta terapia. Il Sistema Endocannabinoide, coinvolto in processi biologici cruciali, emerge come una potenziale via terapeutica innovativa per l’Alzheimer. Gli studi preclinici suggeriscono che gli endocannabinoidi possono influenzare positivamente l’infiammazione cerebrale, esercitare effetti neuroprotettivi e migliorare le funzioni cognitive. Tuttavia, ulteriori ricerche, soprattutto cliniche, sono necessarie per valutare appieno l’efficacia e la sicurezza di tali approcci terapeutici.
Un caso di studio interessante ci viene dal Brasile e sottolinea il potenziale beneficio delle microdosi di THC e CBD nel miglioramento cognitivo e della memoria in un paziente con Alzheimer. Sebbene promettente, questo approccio richiede ulteriori indagini per stabilirne l’efficacia su scala più ampia e confermarne la sicurezza.
Mentre l’Alzheimer continua a rappresentare una sfida clinica, le ricerche sul Sistema Endocannabinoide offrono nuove prospettive terapeutiche che meritano attenta considerazione e approfondimenti, per migliorare la comprensione e il trattamento di questa complessa malattia neurodegenerativa.

Referenze​

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    Anandamide and noladin ether prevent neurotoxicity of the human amyloid-β peptide.
    Neurosci Lett. 2002;332:127–130.[]
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    The central cannabinoid receptor (CB1) mediates inhibition of nitric oxide production by rat microglial cells.
    J Pharmacol Exp Ther. 1999;288:1357–1366.[]
  3. Iuvone T, Esposito G, Esposito R, Santamaria R, Di Rosa M, Izzo AA.
    Neuroprotective effect of cannabidiol, a non-psychoactive component from Cannabis sativa, on β-amyloid-induced toxicity in PC12 cells.
    J Neurochem. 2004;89:134–141.[]
  4. Mazzola C, Micale V, Drago F.
    Amnesia induced by β-amyloid fragments is counteracted by cannabinoid CB1 receptor blockade.
    Eur J Pharmacol. 2003;477:219–225.[]
  5. Benito C, Nunez E, Tolon RM, Carrier EJ, Rabano A, Hillard CJ, Romero J.
    Cannabinoid CB2 receptors and fatty acid amide hydrolase are selectively overexpressed in neuritic plaque-associated glia in Alzheimer’s disease brains.
    J Neurosci. 2003;23:11136–11141[]
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    Δ-9-Tetrahydrocannabinol for nighttime agitation in severe dementia.
    Psychopharmacology. 2006;185:524–528.[]
  7. Ana Carolina Ruver-Martins, Maíra Assunção Bicca, Fabiano Soares de Araujo, Beatriz Helena Lameiro de Noronha Sales Maia, Fabrício Alano Pamplona, Elton Gomes da Silva & Francisney Pinto Nascimento.
    Cannabinoid extract in microdoses ameliorates mnemonic and nonmnemonic Alzheimer’s disease symptoms: a case report.
    J Med Case Rep. 2022 Jul 12;16(1):277.[]
 
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