posto dato che mi sembra molto ben strutturato , essendo un'esercitazione per avvocati è scritto in modo molto basilare ..( ) , si occupa di un caso teorico ma che ben si può accordare alla realtà. Lo posto anche perchè c'e' gente che ancora si ostina a pensare che al massimo si rischia una ramanzina.. e secondo me questo atteggiamento leggero è pericoloso per tutti.
il link :
http://www.percorsi.giuffre.it/psix...tto penale/Singoli reati/default.aspx?id=9270
il testo (spero il signor giuffrè se se ne accorge non si incazzi ... tanto mica siamo avvocati concorrenti ..!!) .. non ho visto copyright e poi cito la fonte. mi sembra tutto regolare. siamo peggio del cremlino qui in fatto di burocrazia, ostia !!
C0ltivazion3 d0m3stica di s0stanz3 stup3fac3nt1
Tizio e Caio, due studenti universitari di Firenze, sono consumatori abituali di cannabinoidi. Stanchi di entrare a contatto con balordi d’ogni specie per approvvigionarsi delle sostanze stupefacenti, decidono di “mettersi in proprio”. questa è la parte migliore.. pure gli avvocati lo sanno qual'e' uno dei veri motivi !!
Acquistano via internet dei semi di canapa indiana ed un kit per la coltivazione e trasformano la cantina dell’appartamento che dividono in una piccola serra.
A distanza di pochi mesi, i carabinieri, allertati da una chiamata anonima, fanno irruzione nel locale e rinvengono 9 piantine di marijuana. I vegetali, alti oltre il metro e mezzo e in piena fioritura, vengono sequestrati e i due studenti dal pollice verde denunciati all’autorità giudiziaria
Esami il candidato, in ragione degli ultimi orientamenti giurisprudenziali intervenuti sul punto, la posizione di Tizio e Caio.
Giurisprudenza
Cassazione penale, Sezioni Unite, 24 aprile 2008, n. 28605: Costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale, atteso che è impossibile determinare "ex ante" la potenzialità drogante ricavabile dalla coltivazione, così da rendere ipotetiche e comunque meno affidabili le valutazioni in merito alla destinazione della droga all’uso personale piuttosto che alla cessione. Spetterà, comunque, al giudice verificare se la condotta, di volta in volta contestata all’agente ed accertata, sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico protetto, risultando in concreto inoffensiva.
Cassazione penale, sez. IV, 28 novembre 2007, n. 871: L'attività di coltivazione di piante da cui possono ricavarsi sostanze stupefacenti, in base al d.P.R. n. 309 del 1990 art. 73 comma 1 come modificato dalla l. 21 febbraio 2006 n. 49 art. 4 bis comma 1, di conversione del d.l. 30 dicembre 2005 n. 272, è vietata e sanzionata penalmente, anche qualora la finalità dell'agente sia di destinare il prodotto della coltivazione a consumo personale.
Cassazione penale, sez. VI, 18 gennaio 2007, n. 17983: Relativamente al trattamento sanzionatorio della coltivazione di piante da cui possono ricavarsi stupefacenti, occorre distinguere la coltivazione in senso tecnico-agrario ovvero imprenditoriale, che è presa in considerazione dal d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 (cfr. gli art. 26 e ss.), caratterizzata da una serie di presupposti, quali la disponibilità del terreno, la sua preparazione, la semina, il governo dello sviluppo delle piante, la presenza di locali destinati alla raccolta dei prodotti, dalla coltivazione cosiddetta domestica, la quale ricade, pur dopo la novella introdotta con il d.l. 30 dicembre 2005 n. 272, conv., con modificazioni, dalla l. 21 febbraio 2006 n. 49, nella nozione, di genere e di chiusura, della detenzione, e rispetto alla quale occorre quindi verificare se, nella vicenda concreta, essa sia destinata a un uso esclusivamente personale del ricavato della coltivazione.
Tribunale di Bologna, sentenza 25 settembre 2007, n. 1392: La coltivazione di piante da cui possano ricavarsi sostanze stupefacenti, sempre che non rilevi una coltivazione di carattere “imprenditoriale”, rientra, anche a seguito della novella introdotta con la L. n. 49 del 2006 di conversione del D.L. n. 272 del 2005, nella nozione della detenzione. Ne consegue la necessità di verificare in concreto se essa sia destinata ad uso esclusivamente personale.
Svolgimento
L’art. 73 del Dpr 309/1990, tra le varie condotte prese in considerazione, sanziona la coltivazione di piante dagli effetti stupefacenti.
Atteso il pesante trattamento sanzionatorio, ci si interroga, in presenza di colture estremamente limitate (una o poche piante), funzionali al soddisfacimento di esigenze meramente personali, se il reato risulti comunque consumato o, se, sulla scorta di quanto previsto per alcune delle condotte indicate all’art. 73 (importazione, esportazione, acquisto, ricezione a qualsiasi titolo, detenzione), sia possibile ritenere rilevante, ex art. 75 del medesimo decreto, tale condotta sul semplice crinale amministrativo.
Sul punto si sono registrati due contrastanti orientamenti.
Stando ad un primo approccio ermeneutico, in presenza di un numero esiguo di piantine, il delitto andrebbe escluso, poiché tale forma di coltivazione risulterebbe inidonea a ledere i beni giuridici oggetto di tutela nella legge sugli stupefacenti.
A sostegno della tesi si aggiunge che la coltura di uno o pochi esemplari di pianta non realizzerebbe la condotta tipica della coltivazione sanzionata, ma, sempre che sia destinata a soddisfare esigenze personali, sarebbe riconducibile nella logica della detenzione per la quale è prevista espressamente dall’art. 75 la non punibilità in sede penale.
Tanto premesso, la Suprema Corte ha in passato tracciato una distinzione tra la coltivazione industriale–agricola e quella meramente domestica (Cassazione penale, sez. VI, 18 gennaio 2007, n. 17983).
Penalmente perseguibile sarebbe la prima ipotesi, poiché funzionale al soddisfacimento, attraverso la cessione, di esigenze di consumo di terzi.
Non rilevante penalmente, invece, risulterebbe la seconda ipotesi che, effettuata in via approssimativa e rudimentale, vedrebbe i suoi frutti funzionali ad un utilizzo meramente personale e, pertanto, sebbene l’art. 75 non contempli espressamente anche la coltivazione, non sarebbe punibile che con una sanzione di carattere amministrativo.
In tale direzione, la Suprema Corte ha individuato alcuni fattori la cui ricorrenza assume rilievo allo scopo di distinguere le due tipologie di coltivazione (coltura in vaso o in spazi aperti; disponibilità di attrezzi, strutture e materiali concimanti; ricorso a tecniche di coltivazione specializzata…) e, conseguentemente, la rilevanza penale o meno di una data condotta.
A conclusioni diametralmente opposte perviene un altro orientamento che ritiene integrato il reato anche a fronte di un numero ridotto di piante destinate a soddisfare esigenze di natura personale (Cassazione penale, sez. IV, 28 novembre 2007, n. 871).
A suffragio dell’assunto si evidenzia, in primo luogo, come la lettera dell’art 73 del Dpr. 309/1990 si riferisca alla condotta di coltivazione tout court, a prescindere dal dato quantitativo e da quello della destinazione dello stupefacente.
Osterebbe all’accoglimento della tesi più garantista, inoltre, la natura giuridica del delitto di coltivazione che, inteso quale reato di pericolo presunto, risulterebbe integrato indipendentemente da qualsivoglia accertamento in relazione a fattori quali il quantitativo di stupefacente ricavabile, l’effettivo grado di tossicità della pianta….
Il legislatore, quindi, sanzionerebbe tale tipologia di condotta in ragione della sua semplice astratta idoneità ad aumentare il pericolo di diffusione delle sostanze droganti.
Discende da ciò l’irrilevanza della destinazione della sostanza ricavabile dalla sostanza coltivata.
In ragione del descritto contrasto ermeneutico sono recentemente intervenute le SS UU che, sposando l’approccio più rigoroso e superando la proposta distinzione tra coltura domestica e coltura tecnico agraria, hanno sostenuto la rilevanza penale di qualsivoglia tipologia di coltivazione, anche se realizzata per soddisfare esigenze di carattere personale (Cassazione penale, Sezioni Unite, 24 aprile 2008, n. 28605).
A sostegno dell’assunto la Suprema Corte ha nuovamente fatto riferimento alla lettera della disciplina sugli stupefacenti che si occupa di coltivazione, anche dopo l’intervento normativo del 2006, solamente nel comma l dell’art. 73.
In ragione del contenuto della disposizione che si riferisce in termini generici all’attività di coltivazione, ritiene la Suprema Corte, risulterebbe del tutto arbitraria la distinzione tra coltivazione in senso tecnico-agrario ovvero imprenditoriale e coltivazione domestica.
Viene quindi disattesa la tesi della equiparabilità della c.d. coltivazione domestica alla detenzione per uso personale, dal momento che le due condotte risultano "ontologicamente distinte sul piano della stessa materialità".
La distinzione delle condotte è dato apprezzare anche in considerazione del fatto che la coltivazione, comporta comunque un accrescimento della sostanza stupefacente esistente con conseguente pericolo di lesione dei beni giuridici oggetto di tutela (ordine pubblico e la salute collettiva).
Ne consegue l’impossibilità di accostare la coltivazione alla detenzione, onde fruire, in caso di provata destinazione personale della prima, della trattamento sanzionatorio più lieve previsto per la seconda.
Tuttavia, sebbene la Cassazione abbia da ultimo spostato l’orientamento in materia più rigido, non può trascurarsi come la stessa abbia puntualizzato la necessità di apprezzare ogni condotta alla luce del principio di offensività.
Secondo le Sezioni Unite, infatti, in ossequio al principio de quo, compete al giudice verificare se la condotta, di volta in volta contestata all'agente ed accertata, sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico protetto risultando in concreto inoffensiva.
Tanto premesso, nell’esaminare la posizione dei due studenti universitari risulta immediatamente evidente che, per il numero delle piantine, per la loro altezza e per il loro grado di maturazione, la loro condotta non possa dirsi assolutamente inidonea secondo i noti parametri dell’offensività.
Alla luce del rigoroso revirement della Suprema Corte, inoltre, risulta difficilmente percorribile la via, sopra descritta ed in passato praticata da una parte della giurisprudenza, della distinzione tra coltivazione agricola e coltivazione domestica.
Ne consegue, pertanto, la sicura integrazione della fattispecie penale.
A favore di Tizio e Caio, quindi, non resta che evidenziare la particolare tenuità della condotta posta in esser perché venga loro riconosciuta la circostanza di cui al quinto comma dell’art. 73 che prevede un trattamento meno severo (reclusione da uno a sei anni la multa da euro 3.000 a euro 26.000 in luogo della reclusione da sei a venti anni e della multa da euro 26.000 a euro 260.000), quante volte i fatti di cui al primo comma siano “ per i mezzi, per la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, di lieve entità”.
(di Michele Ciociola)
il link :
http://www.percorsi.giuffre.it/psix...tto penale/Singoli reati/default.aspx?id=9270
il testo (spero il signor giuffrè se se ne accorge non si incazzi ... tanto mica siamo avvocati concorrenti ..!!) .. non ho visto copyright e poi cito la fonte. mi sembra tutto regolare. siamo peggio del cremlino qui in fatto di burocrazia, ostia !!
C0ltivazion3 d0m3stica di s0stanz3 stup3fac3nt1
Tizio e Caio, due studenti universitari di Firenze, sono consumatori abituali di cannabinoidi. Stanchi di entrare a contatto con balordi d’ogni specie per approvvigionarsi delle sostanze stupefacenti, decidono di “mettersi in proprio”. questa è la parte migliore.. pure gli avvocati lo sanno qual'e' uno dei veri motivi !!
Acquistano via internet dei semi di canapa indiana ed un kit per la coltivazione e trasformano la cantina dell’appartamento che dividono in una piccola serra.
A distanza di pochi mesi, i carabinieri, allertati da una chiamata anonima, fanno irruzione nel locale e rinvengono 9 piantine di marijuana. I vegetali, alti oltre il metro e mezzo e in piena fioritura, vengono sequestrati e i due studenti dal pollice verde denunciati all’autorità giudiziaria
Esami il candidato, in ragione degli ultimi orientamenti giurisprudenziali intervenuti sul punto, la posizione di Tizio e Caio.
Giurisprudenza
Cassazione penale, Sezioni Unite, 24 aprile 2008, n. 28605: Costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale, atteso che è impossibile determinare "ex ante" la potenzialità drogante ricavabile dalla coltivazione, così da rendere ipotetiche e comunque meno affidabili le valutazioni in merito alla destinazione della droga all’uso personale piuttosto che alla cessione. Spetterà, comunque, al giudice verificare se la condotta, di volta in volta contestata all’agente ed accertata, sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico protetto, risultando in concreto inoffensiva.
Cassazione penale, sez. IV, 28 novembre 2007, n. 871: L'attività di coltivazione di piante da cui possono ricavarsi sostanze stupefacenti, in base al d.P.R. n. 309 del 1990 art. 73 comma 1 come modificato dalla l. 21 febbraio 2006 n. 49 art. 4 bis comma 1, di conversione del d.l. 30 dicembre 2005 n. 272, è vietata e sanzionata penalmente, anche qualora la finalità dell'agente sia di destinare il prodotto della coltivazione a consumo personale.
Cassazione penale, sez. VI, 18 gennaio 2007, n. 17983: Relativamente al trattamento sanzionatorio della coltivazione di piante da cui possono ricavarsi stupefacenti, occorre distinguere la coltivazione in senso tecnico-agrario ovvero imprenditoriale, che è presa in considerazione dal d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 (cfr. gli art. 26 e ss.), caratterizzata da una serie di presupposti, quali la disponibilità del terreno, la sua preparazione, la semina, il governo dello sviluppo delle piante, la presenza di locali destinati alla raccolta dei prodotti, dalla coltivazione cosiddetta domestica, la quale ricade, pur dopo la novella introdotta con il d.l. 30 dicembre 2005 n. 272, conv., con modificazioni, dalla l. 21 febbraio 2006 n. 49, nella nozione, di genere e di chiusura, della detenzione, e rispetto alla quale occorre quindi verificare se, nella vicenda concreta, essa sia destinata a un uso esclusivamente personale del ricavato della coltivazione.
Tribunale di Bologna, sentenza 25 settembre 2007, n. 1392: La coltivazione di piante da cui possano ricavarsi sostanze stupefacenti, sempre che non rilevi una coltivazione di carattere “imprenditoriale”, rientra, anche a seguito della novella introdotta con la L. n. 49 del 2006 di conversione del D.L. n. 272 del 2005, nella nozione della detenzione. Ne consegue la necessità di verificare in concreto se essa sia destinata ad uso esclusivamente personale.
Svolgimento
L’art. 73 del Dpr 309/1990, tra le varie condotte prese in considerazione, sanziona la coltivazione di piante dagli effetti stupefacenti.
Atteso il pesante trattamento sanzionatorio, ci si interroga, in presenza di colture estremamente limitate (una o poche piante), funzionali al soddisfacimento di esigenze meramente personali, se il reato risulti comunque consumato o, se, sulla scorta di quanto previsto per alcune delle condotte indicate all’art. 73 (importazione, esportazione, acquisto, ricezione a qualsiasi titolo, detenzione), sia possibile ritenere rilevante, ex art. 75 del medesimo decreto, tale condotta sul semplice crinale amministrativo.
Sul punto si sono registrati due contrastanti orientamenti.
Stando ad un primo approccio ermeneutico, in presenza di un numero esiguo di piantine, il delitto andrebbe escluso, poiché tale forma di coltivazione risulterebbe inidonea a ledere i beni giuridici oggetto di tutela nella legge sugli stupefacenti.
A sostegno della tesi si aggiunge che la coltura di uno o pochi esemplari di pianta non realizzerebbe la condotta tipica della coltivazione sanzionata, ma, sempre che sia destinata a soddisfare esigenze personali, sarebbe riconducibile nella logica della detenzione per la quale è prevista espressamente dall’art. 75 la non punibilità in sede penale.
Tanto premesso, la Suprema Corte ha in passato tracciato una distinzione tra la coltivazione industriale–agricola e quella meramente domestica (Cassazione penale, sez. VI, 18 gennaio 2007, n. 17983).
Penalmente perseguibile sarebbe la prima ipotesi, poiché funzionale al soddisfacimento, attraverso la cessione, di esigenze di consumo di terzi.
Non rilevante penalmente, invece, risulterebbe la seconda ipotesi che, effettuata in via approssimativa e rudimentale, vedrebbe i suoi frutti funzionali ad un utilizzo meramente personale e, pertanto, sebbene l’art. 75 non contempli espressamente anche la coltivazione, non sarebbe punibile che con una sanzione di carattere amministrativo.
In tale direzione, la Suprema Corte ha individuato alcuni fattori la cui ricorrenza assume rilievo allo scopo di distinguere le due tipologie di coltivazione (coltura in vaso o in spazi aperti; disponibilità di attrezzi, strutture e materiali concimanti; ricorso a tecniche di coltivazione specializzata…) e, conseguentemente, la rilevanza penale o meno di una data condotta.
A conclusioni diametralmente opposte perviene un altro orientamento che ritiene integrato il reato anche a fronte di un numero ridotto di piante destinate a soddisfare esigenze di natura personale (Cassazione penale, sez. IV, 28 novembre 2007, n. 871).
A suffragio dell’assunto si evidenzia, in primo luogo, come la lettera dell’art 73 del Dpr. 309/1990 si riferisca alla condotta di coltivazione tout court, a prescindere dal dato quantitativo e da quello della destinazione dello stupefacente.
Osterebbe all’accoglimento della tesi più garantista, inoltre, la natura giuridica del delitto di coltivazione che, inteso quale reato di pericolo presunto, risulterebbe integrato indipendentemente da qualsivoglia accertamento in relazione a fattori quali il quantitativo di stupefacente ricavabile, l’effettivo grado di tossicità della pianta….
Il legislatore, quindi, sanzionerebbe tale tipologia di condotta in ragione della sua semplice astratta idoneità ad aumentare il pericolo di diffusione delle sostanze droganti.
Discende da ciò l’irrilevanza della destinazione della sostanza ricavabile dalla sostanza coltivata.
In ragione del descritto contrasto ermeneutico sono recentemente intervenute le SS UU che, sposando l’approccio più rigoroso e superando la proposta distinzione tra coltura domestica e coltura tecnico agraria, hanno sostenuto la rilevanza penale di qualsivoglia tipologia di coltivazione, anche se realizzata per soddisfare esigenze di carattere personale (Cassazione penale, Sezioni Unite, 24 aprile 2008, n. 28605).
A sostegno dell’assunto la Suprema Corte ha nuovamente fatto riferimento alla lettera della disciplina sugli stupefacenti che si occupa di coltivazione, anche dopo l’intervento normativo del 2006, solamente nel comma l dell’art. 73.
In ragione del contenuto della disposizione che si riferisce in termini generici all’attività di coltivazione, ritiene la Suprema Corte, risulterebbe del tutto arbitraria la distinzione tra coltivazione in senso tecnico-agrario ovvero imprenditoriale e coltivazione domestica.
Viene quindi disattesa la tesi della equiparabilità della c.d. coltivazione domestica alla detenzione per uso personale, dal momento che le due condotte risultano "ontologicamente distinte sul piano della stessa materialità".
La distinzione delle condotte è dato apprezzare anche in considerazione del fatto che la coltivazione, comporta comunque un accrescimento della sostanza stupefacente esistente con conseguente pericolo di lesione dei beni giuridici oggetto di tutela (ordine pubblico e la salute collettiva).
Ne consegue l’impossibilità di accostare la coltivazione alla detenzione, onde fruire, in caso di provata destinazione personale della prima, della trattamento sanzionatorio più lieve previsto per la seconda.
Tuttavia, sebbene la Cassazione abbia da ultimo spostato l’orientamento in materia più rigido, non può trascurarsi come la stessa abbia puntualizzato la necessità di apprezzare ogni condotta alla luce del principio di offensività.
Secondo le Sezioni Unite, infatti, in ossequio al principio de quo, compete al giudice verificare se la condotta, di volta in volta contestata all'agente ed accertata, sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico protetto risultando in concreto inoffensiva.
Tanto premesso, nell’esaminare la posizione dei due studenti universitari risulta immediatamente evidente che, per il numero delle piantine, per la loro altezza e per il loro grado di maturazione, la loro condotta non possa dirsi assolutamente inidonea secondo i noti parametri dell’offensività.
Alla luce del rigoroso revirement della Suprema Corte, inoltre, risulta difficilmente percorribile la via, sopra descritta ed in passato praticata da una parte della giurisprudenza, della distinzione tra coltivazione agricola e coltivazione domestica.
Ne consegue, pertanto, la sicura integrazione della fattispecie penale.
A favore di Tizio e Caio, quindi, non resta che evidenziare la particolare tenuità della condotta posta in esser perché venga loro riconosciuta la circostanza di cui al quinto comma dell’art. 73 che prevede un trattamento meno severo (reclusione da uno a sei anni la multa da euro 3.000 a euro 26.000 in luogo della reclusione da sei a venti anni e della multa da euro 26.000 a euro 260.000), quante volte i fatti di cui al primo comma siano “ per i mezzi, per la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, di lieve entità”.
(di Michele Ciociola)